La contraddizione di essere social tra individualismo e aggregazione

Con il prepotente avvento dei social media abbiamo assistito ad un cambiamento radicale del modello classico di comunicazione, ora senza più gerarchie, con le persone che generano contenuti per infiniti destinatari e al tempo stesso fruiscono in tempo reale di tutte le informazioni da qualsiasi fonte in modo disintermediato.
L’etimologia stessa della parola “social” dà il senso di sistema in cui l’alta interazione tra le persone generi “network”, aggregazione, valore e arricchimento, grazie alle community a cui si è scelto di appartenere.
Ma c’è un’altra faccia della medaglia: il crescente individualismo che si è contestualmente affermato nella pratica sociale quotidiana rischia di veder prevalere altri valori centrati sulla primazia di se stessi, generando una forza uguale e contraria a quella delle comunità professionali ispirate dai social e dalle nuove piattaforme di knowledge sharing.
“Tutto è costruito intorno a te” recita una nota pubblicità che rappresenta la metafora assai efficace di questo paradigma, ormai diffuso a tutti i livelli sociali con un preoccupante primeggiare della persona come centro di gravità permanente nelle relazioni sociali e professionali.
Il naturale contrasto che esiste tra social e questo nuovo individualismo ci sta portando in una terra di mezzo in cui la stabilità ha lasciato il posto alla precarietà – nel lavoro come nel sociale – le motivazioni sono sempre più deboli e collegate alla gratificazione istantanea mutuata dai modelli social (tutto e subito), i valori sono espressi e valutati in base all’immagine che si dà, alla “bellezza” esteriore, a chi parla meglio, alla popolarità affidata ai “like”.
Questa terra di mezzo sta generando una nuova diffusa fragilità – malcelata dalle ostentazioni di benessere e di saggezza pubblicate sui social – e una crescente difficoltà di pensare in modo autonomo: meglio evitare di esser fuori dal coro negli ambienti social, per lasciare appeal alla propria vetrina pubblica. Con il risultato che anche il pensiero autonomo “privato” ne subisce delle conseguenze, condizionato da quello pubblico.
L’aggravante di questo fenomeno, inoltre, è che l’individuo tende a non essere sempre se stesso nei social, a caratterizzarsi per gli aspetti che più desidera evidenziare nella sua vetrina pubblica: così può succedere che persone a noi vicine diventino diverse e sconosciute sui social, con un effetto distorsivo che sottrae valore all’immenso potenziale di ricchezza “autentica” conseguibile attraverso i social media.
La forma sociale diventa così sostanza individuale in cui al centro c’è solo la persona, e “l’essere social” – anziché tradursi in volano della partecipazione, della crescita comune e dell’integrazione – si riflette spesso in falsi miti superficiali ed estetici (fino al punto che sempre più adolescenti ricorrono al chirurgo plastico per sentirsi inclusi in questo modello).
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Se questo è vero, seppure dipinto un po’ a tinte fosche, la domanda è: da dove ripartire per far sì che il nostro “incondizionato” essere social ci arricchisca anziché logorare – con la superficialità e l’individualismo – i valori fondanti delle comunità professionali e sociali che sono alla base del nuovo sviluppo culturale ed economico?
Per affrontare un terreno così complesso non possiamo che affidarci a 3 mosse semplici, magari non risolutive ma capaci di avviare una reazione ordinata e diffusa di argine a questo “matrimonio scellerato” tra individualismo e mondo social.
1) Sin dalla preistoria, quando gli uomini si riunivano in tribù per vincere i pericoli della natura, una prima risposta risiede nell’aggregazione, nel valore delle community.
Nessuno cresce professionalmente o si arricchisce da solo, e nessuno da solo è in grado di raggiungere il successo. E’ la comunità professionale di appartenenza che porta a questi risultati, grazie al contributo che i singoli mettono a fattor comune.
Certo la comunità professionale va creata, sviluppata e guidata: questo è uno dei primi passi da compiere, impegnandosi – come leader o semplice contributore – a coltivare il valore delle diversità insito in queste community. È proprio da questo valore che nasce altro valore, si imparano cose nuove, ci si confronta con altri modi di vedere la stessa tematica, si complementano le competenze necessarie all’obiettivo.
Che siano virtuali, social o reali, le community richiedono generosità, impegno e generazione di valore da parte di ogni individuo che le compone. Nessuno è “follower” di nessun altro; l’integrazione di diverse competenze e diversi know-how diventa l’unico modo per dar risposte qualificate ai sempre più complessi temi che l’innovazione digitale ci ha messo davanti.
E’ un po’ quello che è accaduto nella medicina o in giurisprudenza con lo sviluppo degli “studi associati”, nei quali si sono riuniti diversi specialismi professionali – cresciuti in modo esponenziale negli ultimi 20 anni – per dar servizi completi e di eccellenza ai pazienti / clienti.
Insomma, l’aggregazione associativa è sempre più necessaria; essa ridistribuisce valore ai singoli in base al loro impegno e al loro talento, così da creare un circolo virtuoso in cui l’interesse dell’individuo è alimentato ad investire sul gruppo perché ne trae vantaggio in termini di successo e di crescita delle proprie competenze.
2) L’approccio consapevole ai social deve poi capitalizzare questa aggregazione associativa dandogli contenuti di alto profilo e coltivando una generosa e incondizionata creazione di ricchezza diffusa delle conoscenze e delle abilità delle persone. Solo così si riuscirà a lasciare ai margini del sistema il “surf”, la navigazione superficiale sui network fatta per passerelle edoniste (interiori ed esteriori, economiche -massimo profitto col minimo sforzo- e sociali).
Occorre insomma rimettere al centro dei social i contenuti, le competenze, i diversi valori professionali e personali per sviluppare il bene comune. Contestualmente ritagliando alla presenza social della persona un ruolo di servizio – per se e per gli altri- e non di protagonismo fine a sé stesso.
Per tale via si allenerà anche il pensiero critico, originato dal bilancio e dal trade-off di quello che il singolo mette in comune, il risultato raggiunto e il ritorno personale.
I social network in sostanza, se usati bene, sono luoghi nei quali si deve poter costruire dal basso, insieme, sapere collettivo. Questa dimensione di profondità e di conoscenza chiede di essere sviluppata presto per ridare nuovo valore al sistema “social verso individuo”, recuperando il terreno perduto al riguardo negli ultimi anni.
A fronte di uno sviluppo dei social media così rapido, infatti, non altrettanto è accaduto alle piattaforme professionali, di knowledge sharing o di incontro tra domande e offerte di lavoro. Questi “abilitatori” di crescita sono ancora poco efficaci, almeno in Italia, e ciò è paradossale se è vero che sulle nuove competenze si basa lo sviluppo dell’economia e dell’innovazione nel mondo web 4.0.
3) Per uscire dall’impasse “individualismo vs social”, un altro passo semplice ma importante – su cui però occorre smontare qualche luogo comune – è relativo al talento da mettere in gioco.
Quello che ciascuno ha – non importa se poco o tanto – va allenato e coltivato (anche) nei social arricchendolo così di nuove capacità e competenze: “eccellenza” per tale via si diventa, attraverso l’abbandono di approcci individualisti e la generosa disponibilità a condividere il proprio valore con quello degli altri.
C’è spazio per tutti, insomma, e se ci si mette coraggio e impegno si riesce ad arrivare a concorrere con chi è naturalmente avvantaggiato dall’esser nato con una marcia in più, che da sola comunque non basta se non è accompagnata dalla stessa energia chiesta agli altri “comuni mortali”.
Per rendere il talento efficace serve tuttavia -e vale per tutti- una forte automotivazione a migliorarsi e a confrontarsi con i propri limiti per superarli, a rialzarsi per ripartire dopo qualche delusione. Questa motivazione non la dà il capo, lo stato, l’azienda, ma deve esser trovata dentro sé stessi e governata attivamente per generare gratificazione e risultati nel medio periodo.
È una motivazione non banale né scontata, perché diversa da quella che la natura ci mette a disposizione per ottenere quasi in modo istintivo una gratificazione nell’immediato (ho fame, sono motivato a mangiare); e diversa anche da quella che ricerchiamo sui social per trovare “tutto e subito”.
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Aggregazione sui contenuti professionali e generosità nel mettere a disposizione degli altri il proprio talento. Questa potrebbe essere una sintesi della direzione su cui lavorare, investendo sui network professionali in modo che diventino nel loro contenuto centri di attrazione per le persone: che ci si avvicinano per interesse estraendone valore, e col loro contributo li lasciano più ricchi di come li hanno trovati. Un vero e proprio patto di scambio funzionale a rendere possibile nel concreto la creazione di un circolo virtuoso.
Per qualcuno può sembrare utopia, per altri una sfida da raccogliere. Fate voi.
 
Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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